Il primo segno del mio arrivo in Togo è stato vedere il finestrino dell’aereo appena atterrato rapidamente appannarsi e impedirmi di distinguere chiaramente l’insegna luminosa dell’aeroporto Gnassingbe Eyadema di Lomé, della quale comunque m’è parso di notare che un paio di lettere, forse una n e una e, erano pure spente.
L’aeroporto, l’unico del Paese, è una struttura non molto grande ma moderna, di vetro e acciaio, “regalo” cinese all’amica Repubblica togolese. Naturalmente, l’aria, anche se blandamente condizionata, era insopportabilmente afosa e gli indumenti, già provati dalle undici ore di viaggio, si appiccicavano alla mia pelle. Ma questo me l’aspettavo.
Ciò che non mi aspettavo sarebbe stata l’infinita attesa ai controlli: tre ore, senza che ci fosse una vera e propria coda, una congestione, un intasamento legato a un improvviso sovrapporsi di coincidenze orarie. Un solo aereo era atterrato in serata in tutto il Togo: il nostro.
Il problema era un altro ed era la coppia di operatori che assolvevano all’oneroso compito di verificare i documenti di transito e apporre un timbro sui passaporti degli stranieri. Davanti a me c’erano al massimo sette persone ma davanti al bancone sono arrivato dopo circa due ore, comprendendo alla fine il motivo, e la dinamica: gli operatori chiedevano a ognuno una non piccola “mancia” per poter procedere e così hanno fatto anche con me. Se non pagavi, allora se ne andavano per un po’ o ti facevano attendere a vuoto, così da persuaderti ad adempiere. Io, lo confesso, esasperato dall’attesa, ho pagato subito senza questionare, pur notando con dispiacere che un britannico prima di me che si era rifiutato stava ancora aspettando un responso, dopo mezz’oretta dal suo turno, a fianco del bancone.
Dopodiché finalmente ho potuto raggiungere Don Claver e la sua famiglia, che mi stava aspettando pazientemente all’uscita dell’aeroporto. Ricongiungimento culminato con una cena in notturna presso la casa di Thomas, fratello di Claver, che abita poco distante dall’aeroporto e che non manca mai di dare prova di grande ospitalità nei confronti dei ragazzi dell’Associazione Enyo Nto. Durante la cenetta, vecchi amici ritrovati: pesce di lago fritto, banane fritte, pane dolce, nonché un importante bottiglione di champagne procurato per l’occasione. Ti lascia sempre un po’ lusingato e un po’ in imbarazzo lo spirito d’accoglienza sincero ma anche vagamente sproporzionato dei nostri amici e, come vedremo, più in generale, della gente togolese.
Di certo, l’arrivo è stato dolceamaro, non potendomi scordare in fretta dell’episodio all’aeroporto. Fenomeni corruttivi di quel tipo, purtroppo, sono endemici in un sistema istituzionale fragile come quello togolese, e in parte si giustificano in ragione delle paghe eccessivamente basse dei dipendenti pubblici. Basti pensare che anche una categoria “privilegiata” come quella dei militari, non prende più di 160 euro mensili, sufficienti per evitare o uscire dall’indigenza, ma di certo non adeguati a garantire una vita relativamente agiata. Il punto è sempre lo stesso. Cercare di comprendere il contesto, di sospendere il giudizio sul “peccatore” e piuttosto tentare di analizzare il “peccato”. Per non cadere nella trappola moralistica, irrigidirsi e diventare ciechi di fronte a quel che di buono esiste, e, in qualche modo, anche nella vita politica togolese, resiste. Come avrò modo di riscontrare durante il mio viaggio.
Davide Piasentini